domenica, maggio 11, 2008

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Tre è il numero perfetto. Tre è un numero che storicamente ha rappresentato qualcosa di sovrannaturale e divino per l'umanità. Tre è il numero quotidiano dei caduti sul lavoro in Italia.

Quotidianamente questo numero ritorna sui telegiornali, quando non c'è di peggio da raccontare.
E allora il monito del Presidente, l'annuncio del ministro del lavoro, la corona di fiori da parte delle autorità, l'applauso della folla all'uscita della bara.

E questi numeri impressionanti, questa media che supera la strage di soldati americani in Iraq, sono delle semplici statistiche, perchè non ci toccano direttamente, perchè sono lontani.

Il dispiacere per la tragedia si spegne alla prossima notizia leggera e viene completamente spazzato via quando i nostri pensieri si concentrano sulla telenovela post prandium, dove l'interrogativo più importante è capire se Ridge stavolta si rimette con Brooke o sceglierà Ashley.

Però a volte la tragedia non è un numero o una statistica, ma ha un nome e un volto.

Il nome e il volto di Giovanni Berretta, 40 anni, che lascia moglie e tre figli.

Fatalità, destino, incidente.

Invece no: perchè troppo spesso gli incidenti sul lavoro non sono incidenti o scherzi del destino, ma sono causati dall'inosservanza delle regole sulla sicurezza sul lavoro, dall'avidità di chi sfrutta gli operai fino all'osso, da chi legalizza questo stato di cose con vergognose norme sul precariato e da chi dovrebbe far rispettare la legge, ma spesso per ignavia, incompetenza o peggio, per connivenza, volge lo sguardo altrove e lascia che la strage continui.

Ma il morto si piange per tre giorni. E domani saranno altri tre. E poi altri tre...

1 commento:

R.G ha detto...

Perché morire lavorando?!ca**o!!!